La Cadillac Eldorado color verde acqua IV parte

di Giorgio PCA Mameli

«Sono nata a Trinity – continuò – nel Texas e Houston è la più grande città dello Stato. Conosci?»

«Sia il Texas, sia Houston, sia Trinity» risposi tranquillo, feci passare una manciata di secondi e aggiunsi «Uno dei miei autori preferiti è nato a Trinity.»

«Intendi William Goyen?»

«Sì. Esattamente lui: William Goyen. Il suo capolavoro, per me, è La casa in un soffio.»

«Veramente conosci William Goyen?»

«Sì. Perché ti stupisci?»

«Non è certo uno dei più famosi. Anch’io amo tantissimo The House of Breath. Racconto intrigante.»

«Molto, specialmente per le implicazioni psicologiche. Parli bene l’italiano, dove l’hai imparato?»

«Sono stata sposata per circa tre anni con un professore di santa Cecilia. Ho scoperto che il miglior metodo per imparare una lingua è andarci a letto.»  Sentii che rideva in silenzio.

«All’inizio tutto di lui mi affascinava: la sua musica, la sua cultura, la sua cucina. Poi ho scoperto che amavo i suoi optional più di quanto amassi lui. Una volta dismessi i panni di divulgatore culturale era mortalmente noioso e prevedibile. Così abbiamo divorziato.» Rise di nuovo, in silenzio.

S’era fatto buio e da un pezzo avevamo abbandonato la strada 128 per arrampicarci verso Seùi. La luce lattea della luna illuminava la valle del Flumendosa. Lee Jeane mi toccò la spalla delicatamente, quasi un niente: lo percepii solo nel momento in cui parlò.

«Fermati appena puoi – disse in un soffio e poi – voglio godere questo momento e riempirmene.»

Ora il suo tono era nuovo, particolare, non ancora udito. La sua voce si era arrochita.  Istintivamente mi girai. Lei mi stava già guardando e mi sorrise con tenerezza. I suoi occhi brillavano. La luna le illuminava il viso in pieno. Non l’avevo mai vista così bella. Anch’io volevo riempirmi gli occhi della sua bellezza,

Dovetti percorrere ancora un paio di tornanti prima di trovare un punto in cui parcheggiare. Presi dal bagagliaio un vecchio maglione, lo tenevo per l’emergenza. Lei ristette seduta in auto per ancora qualche istante, immobile. Poi rapida tirò fuori dal secchiello una felpa, la indossò in un  attimo. I suoi capelli lanciarono scintille quando li liberò dal cappuccio. Feci il giro dell’auto e le aprii la portiera. Le sue lunghe gambe uscirono unite e quando toccarono terra mi porse la mano L’aiutai ad alzarsi. Quando fu in piedi ci trovammo vicinissimi, ci separava una manciata di centimetri. Sentivo il suo odore di donna e il suo alito caldo mi accarezzò il viso. Attraversammo la strada accennando due passi di corsa tenendoci per mano. La sua era morbida e calda. Sotto di noi si apriva la valle del Flumendosa. Il silenzio era palpabile come non mai. Sfilò la sua mano dalla mia, fece qualche passo verso il ciglio dello strapiombo e allargò le braccia come per abbracciare l’intero universo. Poi mi venne vicino, appoggiò le sue spalle sul mio petto e disse: «Abbracciami». Lo disse dolcemente. Non era un ordine e neppure una preghiera.  Misi le mie mani sulle sue e la cinsi, stringendola leggermente. Il suo corpo aderiva al mio. Sentivo l’alzarsi e l’abbassarsi del suo seno sulle mie braccia. Lei appoggiò la sua guancia sulla mia. Scostai leggermente la testa per baciarla e lei con un filo di voce disse: «Non farlo. Sarebbe  banale». Rimanemmo così, sotto la luna a guardare la valle e a raccogliere la fresca brezza della notte per un tempo infinito. Fu  lei a sciogliersi, si rigirò per essermi di fronte mi accarezzò la guancia sinistra e mormorò: «Andiamo». Tenendoci per mano riattraversammo la strada. L’aiutai a rientrare in auto e ripartimmo. Il silenzio parlava per noi. Dopo pochi chilometri incontrammo sulla destra una strada bianca, ai cui lati erano cresciuti ampi cespugli, pareva poco consumata.

La percorsi per circa un chilometro quando fui colpito da un fascio di luce accecante. Frenai di colpo.

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