Note sulla Cagliari preistorica

A margine di una visita guidata presso l’unica superstite Domus de Janas di Cagliari a San Bartolomeo realizzata dall’Associazione Amici di Sardegna in collaborazione con lo speleologo Antonello Floris, il Gruppo Sesamo 2000 e la Pro Loco di Cagliari

di Roberto Copparoni

Forse non tutti sanno che a Cagliari è presente una domus de Janas, (casa delle fate), realizzate circa 4.000 anni fa dai nostri antenati. Questi luoghi nel corso dei secoli hanno subito dei differenti utilizzi: sepolture, luoghi di culto e spazi abitativi. A Cagliari nell’area di San Bartolomeo ve ne erano diverse domus de janas come rilevato dall’assistente di scavo Romualdo Loddo che fra il 1902 e il 1903 collaborò in diverse ricerche.

Oggi. purtroppo, ne risulta solo una. Eccola…

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Infatti l’area di consistenza calcarea, nella prima metà del ‘900 è stata fatta oggetto di attività estrattiva. Ne è prova il taglio della roccia che presenta dei chiari segni di tale attività.

La visita in questi luoghi poco conosciti e valorizzati di Cagliari ci ha indotto ad approfondire l’argomento anche per evidenziare tutti coloro che, negli anni, hanno cercato di dare un contributo sulla conoscenza della preistoria di Cagliari.

Fra gli archeologi che si sono occupati del sito bisogna citare Francesco Orsoni, dalla personalità assai originale, archeologo autodidatta, sorretto da una grande acutezza intellettuale e da un animo esuberante e appassionato. Peraltro Orsoni era un Ingegnere bolognese che aveva la passione per la speleologia e l’archeologia preistorica e ebbe la fortuna di scoprire nel 1871 la grotta del Farneto, la più importante stazione eneolitica dell’Emilia. Egli nel 1877 si trasferì a Cagliari con lo scopo di intraprendere ricerche minerarie e visitò diversi siti. Nelle sue indagini rinvenne a Terramaini un insediamento ricco di ceramiche dell’Età del Bronzo, poi sul Monte Urpino si imbatté nei resti di alcune officine litiche attestate dalla presenza di una quantità di schegge e altri utensili in ossidiana. Sul Monte della Pace scoprì la presenza di una stratificazione importante di quelli che venivano chiamati negli ambienti scientifici “KjÖkkenmÖddinger”, una parola danese che significa letteralmente “rifiuti di cucina”. Tale definizione, molto in voga nell’800, era usata per indicare gli spessi strati, veri e propri cumuli, costituiti da migliaia di gusci di conchiglie frammisti a utensili di pietra e altri oggetti preistorici abbandonati, di solito, dalle antiche popolazioni costiere.

Ma le scoperte più interessanti Francesco Orsoni  le effettuò sul promontorio del Capo S. Elia, a sud della città di Cagliari. Qui, l’8 marzo 1878, rinvenne due cavità che chiamò rispettivamente Grotta di S. Elia e Grotta di S. Bartolomeo, che risultarono ricolme di manufatti e resti di sepolture dotate di corredi funerari. La Grotta di S. Bartolomeo, soprattutto, restituì una copiosa serie di materiali. Essa si apriva nei terreni dove sorgeva l’omonimo penitenziario ed Orsoni si rese presto conto che procedendo solo gli sarebbe stato impossibile effettuare scavi sistematici. Dato che non aveva danaro per pagare degli operai, gli balenò l’idea che avrebbe potuto avvalersi dell’aiuto dei carcerati. Così si presentò al direttore del carcere, il Cav. Elbano Gaspari e gli espose il problema. Con grande gentilezza il direttore acconsentì all’anomala proposta del bolognese e gli mise a disposizione un certo numero di reclusi per procedere negli scavi. I risultati furono rilevanti e in quei mesi il materiale recuperato si rivelò di notevole valore scientifico. Durante la sua permanenza al Capo S. Elia, Orsoni ottenne anche un insperato supporto logistico dalla famiglia Gramantieri e da un certo Sig. Gaiti. Le scoperte fatte da Orsoni nel cagliaritano divennero presto di dominio pubblico e negli anni che seguirono furono spesso citate in lavori scientifici sull’archeologia preistorica.

 Fra il 1880 e il 1882 pubblicò i risultati dei suoi studi effettuati fra Sant’Elia e San Bartolomeo. Egli diede delle indicazioni sulla localizzazione della grotta di San Bartolomeo: …Dal lato di ponente, all’altezza di circa 40-50 metri, abbiamo la grotta di San Bartolomeo, ovvero un antro a guisa di cantina …che…prima che io ponessi mano ai lavori di scavo …non appariva, perché tutta ripiena di terra, dalla quale s’alzava un fico gigantesco…e fu proprio la presenza della pianta a fargli supporre l’esistenza della cavità.

Dallo scavo vennero alla luce frammenti di vasi, reperti osteologici umani in prossimità dei quali vennero rinvenuti diversi vasi capovolti, numerose punte di lancia, raschiatoi e resti di animali. In uno strato intermedio dello scavo ritrovò anche …Istrumenti e armi metalliche non di bronzo, ma di rame…vari pugnali o punte di lance, una di vetro scuro e un punteruolo di osso levigato. La maggior parte di questi reperti è stata consegnata la Museo preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma.

A questo proposito si deve segnalare che all’inizio del ’900 le cavità del Capo S. Elia furono oggetto di nuove indagini, sia per confermare i ritrovamenti di Orsoni, sia per recuperare nuovi materiali. I risultati tuttavia non furono quelli attesi e causarono una serie di aspre critiche sul lavoro e le conclusioni pubblicate da Orsoni. Ad esempio, il Prof. Giovanni Patroni, dopo aver rivisitato i luoghi scoperti da Orsoni in Sardegna, scrisse in proposito: … …Cade così la base stessa della fantastica cronologia dell’Orsoni, il quale merita considerazione di compatimento umanitario per le sue insufficienti cognizioni, per i sacrifici sostenuti e per l’infermità mentale, di poi aggravatasi, che lo affliggeva. Ma ciò non ha nulla da vedere con la verità scientifica… Un simile commento (risulta chiaro che Patroni considerava Orsoni insano di mente) sollevò l’indignazione addirittura di Luigi Pigorini il quale in passato non era certo stato tenero con Francesco Orsoni. Egli infatti, ben conoscendo il valore della collezione sarda, per averla acquistata nel 1881, replicò al Patroni: … dicendo che …(Patroni) ha inoltre illustrato gli oggetti eneolitici scavati sotto la sua direzione nella grotta di S. Bartolomeo presso Cagliari … L’egregio collega non ha fatto altro che raccogliere le briciole, del resto interessanti, lasciate in quella grotta dall’Orsoni che ebbe il merito di scoprirla e di esternarne il pregevole materiale che conosciamo, senza poter aggiungere nulla di rilevante a ciò che in proposito ha scritto il Colini … Per tutto questo pare a me che il prof. Patroni poteva risparmiare all’Orsoni le sue aspre, inutili censure e le poco pietose sue parole.

Anche l’archeologo Antonio Taramelli fece degli studi nei siti dell’area e disse: vi sono dei resti di domus de janas nella “pendice orientale della catena del Semaforo”. Lo stesso autore accennava inoltre a ritrovamenti sporadici “nella punta settentrionale della costiera del promontorio S. Elia, presso la torre in vetta a questo monte e sul dorso pianeggiante di esso” e “sulla sponda di Cala Fighera”

Secondo l’archeologo Enrico Atzeni, la grotta di San Bartolomeo, é certamente andata distrutta, forse crollata a causa delle operazioni di cava che negli anni passati hanno interessato la parete rocciosa sottostante. È tuttavia possibile recuperarne la localizzazione grazie a un sommario rilievo di Filippo Nissardi che la colloca, se il riferimento metrico riportato è accurato, a poco più di 5 metri a sud della domus de Janas omonima.

Tale indicazione non è però certa. Tanto è vero che altri autori collocano in altra area la presenza di questa grotta, come si vede dalla foto sotto riportata Rif. Claudio Busi: http://www.venadelgesso.it/2021/orsoni.pdf

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Allo stesso Nissardi si deve anche l’unico rilievo finora pubblicato della domus de janas, per la verità molto sommario. Essa è ubicata appena oltre la recinzione che delimita l’area militare e si apre sulla parete di fondo di quella che appare come una cavità naturale. È costituita da un’unica cella di pianta ellittica irregolare, di m 1,15 di lunghezza x 1,10 di larghezza, cui si accede attraverso un portello rettangolare preceduto da un breve atrio il cui prospetto è accuratamente scolpito nella roccia.

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Grotta di San Bartolomeo (Elaborazione F. Nissardi-Disegno E. Atzeni)

Anche il geologo e paleontologo Domenico Lovisato ritrovò nell’area schegge di ossidiana e frammenti di ceramiche. Egli nel 1886 pubblicò “Una pagina di preistoria sarda” e grazia ai reperti studiati e ai resti di pasto ritrovati (numerose conchiglie e resti di ossa di mammiferi) affermò che le popolazioni che vivevano in questa area erano dedite alla Caccia e alla pesca. Egli tra il 1902 e il 1903, trovò nell’ara di scavo dell’Orsini frammenti di ceramiche e schegge di ossidiana.

In quegli anni Romualdo Loddo Segnalò la presenza di altre Domus de Janas, mentre Edoardo Mannai raccolse tra gli scarichi della grotta di San Bartolomeo una freccia triangolare a margini assai taglienti, alcuni coltellini e un raschiatoio in ossidiana.

Nel 1903 Efisio Ardu Onnis pubblicò “Per la Sardegna Preistorica”. In questo lavoro l’autore rivalutò le ricerche dell’Orsoni, forse ingiustamente criticato da Giovanni Patroni, segnalando che a suo avviso l‘arco temporale di frequentazione della grotta di San Bartolomeo non era così ampio come segnalato dall’Orsoni (dall’età della pietra a quella del ferro)  ma che lo stesso era da riferirsi all’era eneolitica.

Anche Antonio Taramelli pubblicò nel 1903 “Esplorazioni archeologiche e scavi nel promontorio di S.Elia”. Egli si soffermò in modo particolare sui vari “focolari” da lui rinvenuti nell’arco della “Sella” e sulla parte alta del colle dove rinvenne…nuclei di ossidiana, numerosi frammenti di vasi, pareti di ciotole biconiche e svasate, piedi di tripodi già trovati nella caverna di San Bartolomeo. Negli anni successivi diversi archeologi e studiosi  si sono occupati di questa area fra i quali: Giuseppe Sergi, Omero Ciabatti,, Carlo Maxia (che studiarono in particolare dei crani e resti umani rinvenuti del corso degli anni a seguito di vari scavi effettuati) . Anche Giovanni Lilliu nel primo dopoguerra ebbe modo di studiare i ritrovamenti dell’’area, soffermandosi sul ritrovamento di circa dieci tombe e sull’unico scavo ufficiale eseguito presso la grotta dei colombi. Tra l’altro Massimo Pallottino fece degli studi dell’area in esame. Così come Giuseppe Della Maria tra il 1975 e il 1978 pubblicò degli studi sulle due cavità di S. Elia e di San Bartolomeo descrivendo i reperti rinvenuti. Nel 1983 Enrico Atzeni  pubblicò “Cagliari Preistorica” dando grande risalto a quanto era stato pubblicato sul promontorio. Nel 1996 Simonetta Castia pubblicò uno studio su “La grotta di San Bartolomeo” di Cagliari, aspetti e considerazioni”. Anche Alessia Atzeni, fra il 1996 e il 2003 pubblicò articoli e studi sulle grotte preistoriche del Capo di S. Elia di Cagliari e su Cagliari Preistorica. Senza tralasciare gli studi di Donatella Salvi e di Massimo Rassu.

In conclusione appare significativa la valutazione espressa dal Prof. Enrico Atzeni, secondo il quale: le stazioni rinvenute sopra Marina piccola  e nei pressi della Sella del Diavolo sono forse le più antiche stazioni all’aperto ritrovate i Sardegna.

Cagliari è anche questo…

P.S.:Appassionatevi anche voi sulla conoscenza del passato della nostra meravigliosa città, così come hanno gia fatto gli Amici di Sardegna!

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N.B. il presente articolo è stato realizzato attingendo dagli studi pubblicati da tutti gli autori citati

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