A proposito di Agenda 2030 e di sostenibilità

di Roberta Manca

In questi ultimi anni veniamo bombardati da una serie di messaggi che ci invitano a perseguire i principi dell’Agenda 2030 con i suoi 17 Goal.

Bene, ma…

In generale pensiamo che questi obiettivi non ci tocchino più di tanto perché noi siamo un Paese civile con una buona qualità di vita. Non siamo in Africa, nel Medio oriente o in certi Paesi dell’Asia o dell’America Latina. Da noi vige lo Stato di Diritto. Almeno così pensiamo che sia.

Il problema è capire cosa voglia realmente dire Paese civile e Buona qualità di vita.

Certo nella stragrande maggioranza dei casi non ci manca il cibo. Il lavoro è poco ma in ogni caso molte persone riescono a campare grazie ai genitori a ai nonni.

L’acqua arriva dovunque e riusciamo anche a curarci con il servizio pubblico, pur con delle difficoltà di varia natura. Molti di noi hanno i collegamenti satellitari, i televisori al plasma, possediamo l’ultima generazione di cellulare e i nostri figli vanno a scuola e la democrazia è salva.

In questi mesi tutti gli enti pubblici non fanno altro che parlare di sostenibilità e della importanza di fare coesione sociale e rete. Certo è difficile credere che in così poco tempo la Pubblica amministrazione cambi registro pelle, dopo che per anni ha fatto altro.

Sentire amministratori e dirigenti parlare all’unisono di Sostenibilità, Solidarietà, Coesione sociale, Inclusione e quant’altro, quando per anni hanno fatto ben altro, sorprende un poco tutti…Penso a San Paolo folgorato dalla croce sulla strada di Damsco.

Speriamo dunque che dalle belle parole seguano anche i fatti.

Dico questo perché non basta organizzare dei tavoli e dei webinar sull’argomento, facendo parlare sempre gli stessi addetti ai lavori. Non serve a molto istituire delle Commissioni e dei gruppi di studio perché in questi sodalizi ci sono sempre le stesse persone, troppo Istituzionalizzate e perciò troppo vicini al potere. Nelle relazioni che vengono presentate se la cantano e se la suonano vicendevolmente.

I relatori non cambiano, sono spesso autoreferenziali, mutano semmai ruoli e sigle di appartenenza fra politici, amministratori, leader sindacali, dirigenti e imprenditori. Come se la società fosse composta solo da queste categorie di soggetti. Principalmente la società è costituita da persone e da enti del III settore, reali portatori di interessi socio economici e etici. Questa è per me la vera società civile. anche se va detto che ciò che appare non è sempre oro quello che luccica!

Infatti fra i così detti portatori di interessi vi sono anche della mega organizzazioni che vivono di rendite di posizione, penso alle sigle ecclesiastiche e a quelle delle solite associazioni ambientaliste, culturali, umanitarie e di cooperazione internazionale e tante fondazioni.

Ma il paradosso inizia proprio dalle Fondazioni che, nonostante non perseguano fini di lucro, hanno in mano le Banche, i partiti. Le Fondazioni hanno in mano buona parte del nostro Paese. Ma questo è un altro discorso…

Sotto altro aspetto parliamo di una Sardegna unita e ci perdiamo dietro i campanili, parliamo di cooperazione di condivisione e poi ci esaltiamo fra mille differenze. Parliamo di politiche comuni e poi operiamo in funzione del nostro orticello.

Facciamo tante battaglie per il bene comune (penso al no al nucleare, alla abrogazione delle inutili province, alla abrogazione di alcuni Ministeri), e poi ci dimentichiamo delle cose e ritorniamo o ci fanno ritornare sui nostri passi.

Parliamo di riduzione della spesa pubblica e poi facciamo delle ridicole battaglie per isituire nuove province e creare due città metropolitane un una delle regioni d’Italia con la più bassa densistò abitativa.

Vogliamo una Sardegna sana e pulita e non istituiamo un registro dei tumori in alcune parti della Sardegna (che poi sono quelle dove la presenza di particolari patologie legate alla presenza di sostanze inquinanti nell’ambiente è assai diffusa e presente) e anteponiamo la salute al lavoro come accade a Sarroch, Capoterra Assemini, Portoscuso o Portotorres per finire a Domusnovas dove persino la fabbricazione di bombe da lavoro e benessere almeno per chi le produce ma non per chi se le vede cadere dal cielo. Cavalchiamo le energie rinnovabili e devastiamo con pale eoliche contesti ambientali e paesaggistici che vanno protetti come potrebbe avvenire nel territorio di Siurgus Donigala dove in ragione della green energy si disbosca l’ultimo lembo della foresta di “Su Monti” per realizzare un mega parco eolico di oltre 92,4 MW, denominato “Pranu Nieddu”

Nei tavoli di cui parlavo si da sempre per scontato che gli utenti finali, ovvero i cittadini, siano informati e sappiano tutto. E forti di ciò si vanno a disegnare scenari smart, green, soft, inclusive, i cui contenuti sono chiari soprattutto a coloro che vivono di queste progettazioni. Che a volte sono anche molto belle ma assai prive di efficacia. Un po’ è come se fossero prive di anima.

Questo accade perché tutta la filiera della progettazione si assorbe buona parte dei fondi messi a disposizione sia in modo diretto con parcelle e onorari, sia con delle amicali concessioni e strategici coinvolgimenti di vari attori che sono più interessati al proprio fatturato che alla reale quantità e qualità di benefici che vengono apportati alla popolazione.

Un po’ come avviene in Afganistan dove i miliardi che vengono dati alla popolazione per la ricostruzione si perdono nei meandri delle amministrazioni e sui tavoli dei burocrati..

Esaltiamo la nostra sardità senza conoscerne l’origine e ci ricordiamo di considerarla solo in qualche sagra o festa per poi scannarci sui giganti di Monte Prama o sulla storia degli Shardana. Chiediamo il riconoscimento della nostra cultura e mandiamo a scuola i nostri figli senza che i libri da loro utilizzati facciano conoscere la lingua, la storia, l’ambiente, la cultura e l’economia della Sardegna.

Parliamo di turismo sostenibile, esperenziale, accessibile senza far capire ai cittadini ai piccoli commercianti, agli operatori locali cosa realmente significhino queste espressioni.

Certo c’è la formazione regionale ma anche questa risente delle dinamiche di cui sopra, nel senso che gli elevati costi non hanno prodotto significavi risultati e poi se guardiamo bene a volte questi corsi sono stati fatti più per favorire i docenti, gli esperti, gli operatori dei servizi accessori che a vantaggio dei discenti.

Una soluzione potrebbe essere quella di coinvolgere veramente il Terzo settore nelle programmazioni e gestione dei territori ma evitando anche qui di chiamare ai tavoli le solite Associazioni istituzionali che poi sono le stesse da anni ma dando voce ai tanti esclusi e favorire un rinnovamento e un naturale avvicendamento e dare voce anche a chi dice cose diverse che forse saranno anche non politicamente corrette ma sicuramente assai più incisive e credibili.

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