Accadde a Cagliari: gli Arabi

di Massimo Dotta

Il rapporto tra gli Arabi, la Sardegna e Cagliari è un tema controverso e in buona parte ignorato da numerosi studiosi. Viene considerato come un periodo che non ha avuto conseguenze durature, semplici episodi di incursioni sulle coste, pirateria e rapimenti, accaduti attorno all’anno mille.

La storiografia tradizionale, anche per motivi d’orgoglio nazionalistico, racconta di una Sardegna “baluardo contro gli arabi”, anche se oggettivamente la nostra isola era posizionata al centro di un’area controllata dagli arabi per secoli, e a soli 184 chilometri dalla Tunisia, che dal 698 è stata la base centrale della flotta araba.

Ma le ricerche più attuali, che studiano anche le fonti arabe, stanno riportando alla luce tutta una serie di rapporti più profondi e di lunga durata tra arabi e sardi, che ebbero probabilmente inizio nel VIII secolo. Questo periodo ha sicuramente delle cose interessanti da raccontare.

L’espansione degli arabi tocca l’Italia nel 652, quando per la prima volta vengono saccheggiate le coste siciliane. Con la conquista del Nordafrica, alla fine del VII secolo, gli arabi si trovano ad essere vicinissimi a tutte le coste italiane, avendo la possibilità di lanciare incursioni ovunque desiderassero. Nell’VIII secolo il Tirreno è praticamente un mare arabo, dove le navi italiane vengono intercettate e gli insediamenti costieri sono regolarmente attaccati.

Rossana Martorelli docente dell’Università di Cagliari, riporta che Cagliari era in quel periodo, un porto fiorente con reperti ritorvati che documentano una fitta rete di relazioni commerciali con l’Africa, la Penisola Iberica e l’Oriente. Per questo si pensa che sia stata una dei principali obbiettivi delle incursioni islamiche subito dopo la distruzione di Cartagine del 697-698, e troviamo la registrazione di un atto di sudditanza nelle fonti arabe, firmato subito dopo l’attacco arabo dell’anno 135 dell’Egira (752-3 d.C.) contro le due isole maggiori Sardegna e Sicilia. Nelle fonti è riportato che i musulmani dopo aver fatto strage dei sardi, li costrinsero a sottomettersi e al pagamento di una tassa, la gizyah, misura prevista per “i popoli periferici che sono stati sottomessi” che prevedeva la “protezione” dalle incursioni.

Non è chiaro quanto sia durato questo periodo e la riscossione del tributo, ma ci mostra una situazione in cui la presenza musulmana nell’isola esisteva ed era “discreta”, non una conquista con importanti inserimenti di popolazione islamica, come sarebbe successo nel caso della fondazione di un emirato (una provincia), e per oltre cinquant’anni, non si registrarono altri attacchi documentati verso l’isola.

Nell’849 i Saraceni di Totarum (Tavolara) arrivarono addirittura ad attaccare Roma, e la Sardegna era una tappa fondamentale per le flotte dei Mauri e dei Saraceni provenienti d’al-Andalus e dall’Ifrîqiya che andavano verso la Provenza, l’Italia e la Corsica, come riportato da Piero Fois.

Poi dell’attività degli arabi non se ne sa più nulla, fino al famoso episodio del XI secolo delle spedizioni di Mugiahid al-‘Amiri (o Mugeto, Musetto), signore di Denia e delle Baleari, che, nel 1014-1015, prese il controllo di buona parte della Sardegna con una spedizione di cui le notizie si sparsero in tutto il mondo cristiano.

Questo silenzio sulla possibile presenza stabile di arabi in Sardegna è dovuto alle poche fonti cristiane, ma nuove possibilità di interpretazione stanno lentamente emergendo sia dalla ricerca archeologica che dalla Storia dell’urbanistica medievale. Dalle ricerche del professor Cadinu della facoltà di architettura di Cagliari, è emersa la possibilità che numerose strutture urbanistiche sarde siano molto simili a quelle del Mediterraneo islamico, specialmente nella parte meridionale della Sardegna.

Molti dei villaggi intorno a Cagliari, nel Cixerri, nel Campidano, nel Sarrabus, nel Gerrei e in parte dell’oristanese mostrano in modo chiaro, secondo lo studioso, delle tipologie abitative simili a quelle nord africane, e non basate su un modello bizantino. Una struttura urbana con alcuni assi principali, mai rettilinei, da dove parte un sistema di vie secondarie, con delle serie di “vicinati” autonomi tra loro, e l’accesso alle unità abitative da vicoli ciechi o da cortili interni.

Questi centri abitati si sono conservati nella loro forma originale perché non toccati dalle grandi trasformazioni tardomedievali e della prima età moderna, e lontani dai cambiamenti dei capoluoghi hanno potuto mantenere per secoli le forme originali, come la struttura viaria. E’ interessante notare che queste caratteristiche costruttive non si trovano in altre regioni della Sardegna, e con l’eccezione di alcuni siti del sud Italia, non si trovano in nessuna altra regione dell’Europa non islamizzata nel medioevo.

Nel Sarrabus, regione protetta da montagne, con buona probabilità la presenza araba continuò oltre le riconquiste cristiane, come sembra rivelare anche la stessa radice del nome della regione all’inizio del Trecento, Curia seu Judicatu Sarabi (regione abitata da is arrabus). E questo trova conferma nella quasi totale assenza di monumenti medievali in quell’area e il suo isolamento dalle vicende storiche del resto dell’isola, quasi fosse un mondo a parte.

Possiamo quindi immaginare un periodo nel quale i porti strategici siano sedi stabili arabe, dotate di un retroterra colonizzato o popolato sia da cristiani sottoposti a tassazione che da altre popolazioni deportate o semplicemente trasferite da altre regioni già conquistate, dedite all’agricoltura o alla pastorizia. Nei vari presidi, i militari controllano tutto con atteggiamento coloniale, seguiti da numerosi artigiani o mercanti, che sfruttano le risorse locali vendendole nei mercati del mediterraneo.

Parlando della città di Cagliari, è difficile trovare tracce di ciò che ha preceduto i pisani, infatti la loro fondazione ex novo ha cancellato ogni traccia di quel che c’era prima e non ha nulla a che vedere con l’architettura dei villaggi che circondano il capoluogo. Questa fondazione del 1216, basata su criteri nuovi di urbanistica toscana ed europea, è stata completamente importata dall’esterno, come sostiene il professor Cadinu.

Non è rimasta nessuna delle forme urbane precedenti al Castello pisano del XIII secolo, e non conosciamo la forma della prima capitale giudicale di Santa Igia, ma possiamo ipotizzare che in origine sia stata costruita in terra cruda secondo un modello coerente con quello del Mediterraneo islamico.

Altre tracce di presenza islamica, emergono dal lavoro dell’archeologa Donatella Salvi, sui materiali ritrovati a San Saturnino. La Salvi scrive “ […] l’area, agli inizi del X secolo […] era ancora cimiteriale e […] a Cagliari erano presenti nuclei di religione islamica che utilizzavano presumibilmente gli spazi funerari già esistenti”. Un’area funeraria per un insediamento islamico stabile che probabilmente sorgeva intorno a questa area, come testimonia un largo frammento di iscrizione in caratteri arabi, disposta su due righe, recuperato in un cumulo di materiali di risulta accanto alla recinzione del giardino. L’eccezionalità del pezzo, per quanto incompleto, consiste nel fatto che si tratta di una iscrizione che contiene la data del 294h, corrispondente al 906/907 d.C., anteriore perciò ad altri frammenti in caratteri cufici, tutti funerari, ritrovati ad Olbia, Cagliari e ad Assemini (Moriscos, pp. 29-30). Ne derivano due importanti considerazioni: la prima è che l’area, agli inizi del X secolo era ancora cimiteriale e la seconda che a Cagliari erano presenti nuclei di religione islamica che utilizzavano presumibilmente gli spazi funerari già esistenti.

L’iscrizione in caratteri cufici di San Saturnino. Foto di D. Salvi

Secondo la Martorelli, l’intera costruzione di San Saturnino è stata riutilizzata come moschea per un certo periodo, segno di una presenza araba realmente consistente e importante in città.

Ma anche in quello che fu il sistema di orti di San Saturno si possono intravedere segni di questa presenza musulmana, in quello che fu un sistema grandioso di orti recintati, abitati stabilmente da chi li curava. Gli orti occupavano un area estesa da La Vega, per quasi due chilometri, fino al mare, in una valle con canali di particolare bellezza ed estensione, un sistema imponente e ben organizzato.

Ricordiamo a questo proposito l’abilità degli arabi nell’architettura e nella gestione delle acque, che dato il valore e la scarsità della risorsa, era nel mondo arabo una scienza precisa, di cui troviamo testimonianza in un altro importante sistema di orti extraurbani sardi, quello di Sassari. I funzionari che a Sassari amministrano le acque e gli orti erano molto simili a quelli presenti nelle principali città islamiche. Chiamati “partidores de abba” in Sardegna, sono per gli arabi i “kassam el ma” (“divisori dell’acqua”). Questi funzionari regolavano i flussi delle acque negli orti e, intervenivano nelle controversie legate alle acque tra i proprietari terrieri e quelli di orti e di mulini.

Quindi è possibile che anche la città di Cagliari, e in generale tutta la Sardegna, abbia avuto e ancora conservi tracce di un influenza araba, di cui non c’è nulla di cui vergognarsi, che andrebbe indagata e considerata per ricostruire nel modo più completo la storia della nostra città.

Anche perché gli Arabi del tempo rappresentavano un eccellenza culturale e tecnologica di altissimo livello, dotati di una scienza medica senza paragoni. Erano infatti i custodi della cultura Greca, fondavano scuole che abbracciano vari campi d’indagine, e la loro lingua divenne per lunghi periodi la lingua della scienza. Ricordiamo che molti testi arabi di astronomia, chimica e matematica sono stati alla base della nostra cultura fino alla nascita della scienza moderna in Europa con Galileo.

Studiosi in una libreria abbaside. Da un manoscritto delle Maqāmāt di al-Hariri. Miniatura di Yaḥyā al-Wasiṭī (1237)

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