Cannelas alludas

Visto il buon successo ottenuto oggi pubblichiamo la terza e ultima parte del racconto di Giorgio PCA Mameli anch’esso ambientato nel cuore della Sardegna. Buona lettura.

III parte

Guardò i due uomini dietro di lui e senza aprire bocca parlò: lo fece con gli occhi, alzando la spalla destra e contemporaneamente piegando leggermente la testa. Li avevano trovati. Non erano molto distanti, si doveva procedere con cautela. Efisio prese i tre cavalli, lentamente tornò indietro per circa duecento metri e li legò. Grazianeddu e don Gavino erano rimasti immobili e quando Efisio tornò li trovò nelle stesse posizioni. Si allargarono a ventaglio e ognuno si sistemò alla meglio: a ridosso di una roccia, tra le radici di un albero sotto un cespuglio. Sapevano che lì avrebbero passato la notte. Notte breve, non era ancora apparsa  la prima luce quando si mossero, conoscevano il gioco e sapevano condurlo anche senza vedersi. I movimenti erano lenti e precisi, i passi silenziosi. Avanzarono per una cinquantina di metri piegati in due fino a vedere un ovile costruito ruvidamente, solo l’odore della brace fresca disse della presenza di uomini. Si sdraiarono e meccanicamente controllarono le loro armi. Sembra di essere alla caccia dei cinghiali pensò Grazianeddu. Se sono loro li ammazzo qui pensò Efisio. Chissà se sono loro pensò don Gavinu. Dieci minuti sono tanti a passare soprattutto quando si aspetta qualcuno. Finalmente dall’ovile uscì un uomo. Era alto, massiccio, in maniche di camicia, con la barba incolta di oltre una settimana e il berretto, da cui uscivano disordinati ricci neri, era ben calzato quasi fino a coprirgli gli occhi. Come Grazianeddu lo vide emise un sibilo silenzioso. Lo udirono sia Efiio, sia don Gavino, sia l’uomo uscito dall’ovile, aveva percorso cinque o sei passi e si bloccò. Rimase immobile come una statua di sale, solo gli occhi si mossero, pigramente. Andarono da destra a sinistra e poi ancora da sinistra a destra, aveva le orecchie tese pronte a cogliere qualsiasi altro rumore. Don Gavino riconobbe l’uomo, allora appoggiò il fucile a terra e lentamente si alzò: era in piedi alla destra dell’uomo. Rimase fermo per un paio di secondi poi con tono di voce calmo disse: «Salude Trunch’e Figu».  L’uomo così chiamato si girò, guardò chi aveva parlato e rispose: «Salude a Fustei [Voi], don Gavinu» I due uomini erano di fronte, e misero gli occhi dritti dentro quelli dell’altro. Don Gavino non parlò, Il silenzio era duro. I secondi passavano scanditi dai battiti lenti dei loro cuori poi finalmente Trunch’e Figu parlò: «Itta Seis xirchendi, Don Gavinu?» [Cosa state cercando Voi, don Gavino] Come risposta non uscì un fiato. Trunch’è Figu attese e poi parlò di nuovo: «Pro ite Seis inoke [Perché siete qui?]» Cominciò a piovere, una pioggerellina leggera e sottile, pareva neanche bagnasse. I due uomini, la terra, il bosco, l’ovile e Grazianeddu ed Efisio l’accolsero con naturalezza. Finalmente don Gavino parlò: «Seo inoke pro tue e sos frades tuos. Si ollu cunsinnai a sa dustìtzia. [Sono qui per te e per i tuoi fratelli. Vi voglio consegnare alla giustizia]Trunch’e Figu scosse la testa ed allargò le braccia:«Seu solo. Non c’est niunu [Qui sono solo. Non c’è nessuno]»  Don Gavino sorrise lievemente, anche lui scosse la testa:«Fai bessì a su Moru e a Isauro …[Fai uscire il Moro e Isauro». » Le ultime parole furono sovrastate dal potente rumore dello sparo, don Gavino si accasciò. Efisio e Grazianeddiu scaricarono in contemporanea i loro fucili tirando nell’ovile, Trunch’è Figu si lanciò verso don Gavino tenendo nella mano destra una pattada, don Gavino, da terra estrasse il suo revolver e sparò a ripetizione i sei colpi. Trunch’è Figu indietreggiò d’un passo poi ne fece due in avanti e gli cadde addosso. In meno di dieci secondi era tutto finito. Grazianeddu ed Efisio uscirono dai loro buchi il primo corse verso don Gavino e lo liberò dal corpo di Trunch’e Figu il secondo andò all’ovile. Con circospezione si avvicinò e guardò all’interno: i corpi senza vita di su Moru e Isauro giacevano uno sull’altro. Entrambi centrati alla testa. Don Gavino era vivo, colpito alla spalla sinistra. Tamponarono la ferita, Grazianeddu tagliò un pezzo della sua camicia e in qualche modo la fasciarono e lo aiutarono e rimettersi in piedi. Efisio andrò a prendere i cavalli. Trascinarono il corpo di Trunch’e Figu all’interno dell’ovile e lo sistemarono sopra quelli dei suoi fratelli. Li coprirono con le loro coperte e le fermarono con delle pietre. In silenzio fecero a ritroso la strada già percorsa. Quando arrivarono alla casa trovarono sulla veranda una donna e un vecchio. La donna era Pilimedda, la governante e il vecchio era lo zio Antonio. Aiutarono don Gavino a scendere dal cavallo e sorreggendolo gli fecero salire i due gradini. Don Gavino si fermò e si girò, guardò i due uomini rimasti a cavallo e disse:« Cannelas alludas nun ‘nde lassamus». I due uomini si scoprirono e ripeterono: «Cannellas alludas ‘nde lassamus». Don Gavino sorrise. I due sorrisero, calzarono nuovamente i loro berretti, girarono i cavalli e ripresero la strada da cui erano venuti.

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  1. Avatar for Giovanni Giovanni 25 Marzo 2023

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