In Sardegna aumentano i fallimenti

Netto peggioramento del quadro generale tra il 2008 e il 2017. Nel 2017 sono fallite 263 imprese sarde contro le 246 dell’anno precedente: è il record storico dall’inizio della crisi. Nel 2018 il numero rimane elevato: fino a settembre registrati 181 fallimenti contro i 194 dell’anno precedente. Dopo Val d’Aosta e Lazio la Sardegna è la regione italiana che ha registrato l’incremento più accentuato di fallimenti: +25% contro il + 11% nazionale. Ancora in grande difficoltà il settore delle costruzioni: il 2018 potrebbe far registrare una nuova impennata di fallimenti

 di Alessio  Atzeni

Nel 2017 il numero di fallimenti in Sardegna ha toccato il livello record dall’inizio della crisi. Sono state 263 le imprese sarde che hanno portato i libri in tribunale, contro le 246 che lo avevano fatto nel 2016. Il 2017 ha quindi confermato i segnali negativi arrivati nel 2016, il quale, delineando un quadro negativo rispetto all’anno precedente, aveva smorzato le aspettative di una significativa inversione di rotta della congiuntura economica regionale. Dall’analisi dei dati parziali, inoltre, alla fine dell’anno in corso i fallimenti dovrebbero mantenersi su livelli elevati in linea con il biennio precedente (ben 181 casi a tutto settembre 2018, contro i 194 dello stesso periodo dell’anno passato).

Lo rileva una recente analisi della CNA Sardegna sulla base dei dati dell’Osservatorio Fallimenti che analizza le procedure di amministrazione controllata, giudiziaria e straordinaria, concordato, fallimento, liquidazione coatta amministrativa e stato di insolvenza che hanno riguardato le imprese sarde dal 2008 al settembre 2018.

Il contesto nazionale. La situazione delle imprese sarde appare preoccupante anche se inserita nel contesto nazionale. Considerando l’ultimo triennio, e confrontandolo con quello precedente, emerge che solo Lazio e Valle d’Aosta hanno visto aumentare il numero di fallimenti in maniera più marcata. A partire dal dato del 2018 annualizzato, infatti, il numero di procedure concorsuali nel triennio in Sardegna sarà cresciuto del +25%, contro una media nazionale del +11%. Si tratta di un dato, inoltre, decisamente superiore rispetto a quello di tutte le altre regioni del Mezzogiorno. In Basilicata, Abruzzo, Molise e Calabria i fallimenti sono diminuiti; sono rimasti costanti in Puglia e sono cresciuti significativamente solo in Campania e Sicilia, ma con un’intensità inferiore rispetto al dato dell’Isola (+15%, appunto, contro il +25%).

Ancora in difficoltà il settore delle costruzioni . Anche nel settore edile la situazione rimane complicata. Nei primi nove mesi dell’anno il numero di fallimenti registrati ha già raggiunto quello dell’anno passato (24). Va detto che il record di 40 procedure concorsuali registrato nel 2014 appare distante, ma il 2018 potrebbe far segnare una nuova impennata di fallimenti.

 “I dati sui fallimenti, insieme ai principali indicatori economici, confermano la condizione di estrema fragilità dell’economia isolana”, affermano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della CNA Sardegna. “Le politiche pubbliche nazionali e regionali, purtroppo tutte orientate al sostegno dei consumi privati, deprimono gli investimenti, riducono le risorse destinate alle politiche attive, inaridendo i veri driver capaci di far crescere la produzione, le occasioni di lavoro, lo sviluppo economico. Nell’edilizia dopo una crisi settoriale di portata storica non sono bastati i segnali di ripresa degli investimenti a produrre una significativa inversione di rotta. Le previsioni per il 2018 motivate da segnali confortanti provenienti da tutti i driver settoriali (occupati, credito, compravendite immobiliari) prospettavano una crescita degli investimenti in edilizia residenziale del +2,4%, ma è probabile che l’intensità di questa ripresa sia ancora troppo limitata per incidere su una situazione pregressa estremamente problematica (il settore ha perso in dieci anni il 40% del suo mercato). In questo senso – concludono Piras e Porcu – investire nella riqualificazione del patrimonio edilizio (considerando la più facile cantierabilità rispetto ai più complessi investimenti in opere infrastrutturali) rimane una strategia fondamentale se l’obiettivo è quello di rilanciare un settore composto per il 70% da piccole e piccolissime imprese artigiane”.

 

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