Le ansie degli adolescenti generazione Z

Li chiamano la generazione Z. Sono gli adolescenti nati dopo il 1997.Vivono in simbiosi con il loro smartphone. La loro vita è quotidianamente documentata agli altri attraverso foto, messaggi vocali, screenshot, socials. Sono sempre connessi alla rete.Dormono con il telefonino acceso accanto.

Postano continuamente foto di loro stessi in qualunque situazione. Attendono e contano con ansia i likes che ciascuna foto riceve. Quasi fossero delle celebrità il cui successo dipendesse dall’approvazione dei followers.

Usano Instagram, Snapshot, pubblicano“storie” che durano lo spazio di 24 ore.
La loro autostima e l’umore, dipendono dal numero di likes. Vivono di post che li consacrano “popolari”. 

La generazione Z agisce solo per “apparire”. Le foto di viaggi e attività vertono sulla loro presenza, non sul luogo.La loro esistenza è cristallizzata nell’ansia di “esserci”. Vivono dentro il famoso quesito filosofico:  ”Se un albero cade nella foresta ma non c’è nessuno a testimoniarlo, l’albero è veramente caduto?”

Usano la short communication, e gli audio vocali per evitare di scrivere. Abbreviazioni, pezzi di parole, frasi a metà, messaggi frammentari, per esprimere magari un solo pensiero che vola nell’etere, spinto dalle loro dita frenetiche. Se non ricevono conferme in un nano secondo, si allarmano. 

Usano un metalinguaggio fatto di emoticon: faccine, animaletti, oggetti. Trasmettono stati d’animo con le gif: personaggi che si muovono al posto loro, che si sganasciano dal ridere per loro, che si sbattono la testa al muro se loro sono disperati e che ricominciano sempre da capo, all’infinito. 

Usano un meme per comunicare. L’immagine, spesso accompagnata da una frase fulminante, illustra meglio di qualunque conversazione ciò che hanno in mente.

Si intestardiscono in challenges senza senso dove l’imitazione di ciò che fanno altri, è fine a se stessa: Blue Whale, Momo challenge, sgranocchiare pods di detersivi, creano una commistione di vero e reale dove a volte ci scappa il morto.

Un mondo di fake emotions dove però circolano sentimenti veri perché ci si dispera a essere bannati da chats e facebook. La punizione estrema è proprio il non esserci, il non contare più nulla per la vastissima platea dei coetanei.

Dietro lo scudo della tecno-mediazione poi si possono assumere atteggiamenti forti, critici e, protetti dalla distanza fisica, è necessario commentare, denigrare, per rimanere visibili, sino ad arrivare al cyberbullismo.

Come robot che funzionano solo finche dura la batteria, per non essere tagliati fuori, si forniscono di batterie supplementari.Se non c’è campo diventa prioritario cercare un luogo per connettersi, anche se non si ha nulla da dire, anche se il telefono non serve.

Se volete comunicare con loro sappiate che hanno una finestra di attenzione di 8 secondi e la pazienza per assimilare una sola frase. Ma ricordate che, mentre state comunicando con loro, i Centennials stanno messaggiando con altre persone, postando su Instagram, consultando google e ridendo per un video su youtube.

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