Quale Turismo in Sardegna?

di Roberta Manca

Alla luce della grave crisi pandemica che ha colpito il settore turistico appare doverosa una riflessione su come operare e come rimodulare l’offerta turistica della nostra Regione.

In Sardegna il fenomeno turistico è in crisi e sottodimensionato. Ciò accade per una serie di molteplici e complesse ragioni e per causa da ricercare dentro e al di fuori della Sardegna. Fra le tante ne evidenzio una endogena riferita alla percezione e grado di conoscenza che la popolazione locale ha in fatto di turismo.  Per colmare questo limite ci si dovrebbe attivare in ogni comunità, ente, scuola per trasmettere delle conoscenze basiche a tutti e rivolte da un lato a far conoscere, leggere e interpretare le risorse del territorio e dell’ambiente e generare una padronanza territoriale e dall’altro a collaborare e contribuire alla regia di un piano di sviluppo regionale, diversificato per territori, sviluppando dei processi di reale interazione fra il turismo costiero e il turismo delle zone interne.

Ecco delle proposte

Per far decollare il turismo in Sardegna bisogna rendere la popolazione partecipe e, dove necessario, renderla protagonista dei processi di offerta e di fruizione del variegato prodotto Sardegna. A mio avviso un approccio prevalentemente economico, almeno in fase iniziale non giova al superamento dei problemi segnalati. Il processo di botton up realizzato dall’Assessorato al Turismo è stato un buon inizio. Ma esso deve essere portato a tutti i livelli locali per realizzare il coinvolgimento del tessuto socio economico e culturale di tutte le comunità presenti in Sardegna.

Peraltro nel valore o principio della sostenibilità non vi sono solo componenti economiche ma anche sociali e ambientali. Il turismo non è solo industria, impresa o business, ma è anche un insieme di altre dinamiche costituite da carrying capacity, interazioni, flussi sinallagmatici, abbattimento di barriere, gestione attiva del territorio. A mio avviso nel documento si parte da un presupposto errato, ovvero che il popolo sardo comprenda cosa sia il turismo dando per scontato una sua proattività e collaborazione, cosa che peraltro è tutta da dimostrare.

A tale proposito basti pensare alla teoria della tripartizione funzionale del turismo, fra attivo produttivo e passivo. In particolare quest’ ultimo è da tempo superato. Infatti il concetto di turismo passivo, ovvero quello espresso dai residenti, visti troppo spesso come semplici comparse o figuranti passivi di processi e di flussi, su cui ricadono dall’alto le scelte “istituzionali” non ha più futuro. I residenti devono essere considerati “una risorsa” e non “un peso” per il turismo.

Oggi più che mai il turismo deve svolgere una funzione di forte coesione, di perequazione, di riscatto, di rilancio e di identità sociale e non è giusto a mio avviso delegare a qualche tecnico di comprendere ciò che non ha mai vissuto sulla propria pelle. Non è giusto calare dall’alto processi e programmi che non vengono correttamente compresi e coerentemente discussi, proposti insieme con le popolazioni locali. Siamo carenti nella formazione e nella comunicazione interna. Si dovrebbe prevedere anche una formazione degli operatori indiretti del turismo, quali giornalai, vigili, tassisti e commercianti. Ma questo non basta a superare la frattura e talvolta la contrapposizione esistente fra il mondo del turismo e la società chiamata civile. Su questo aspetto bisogna davvero investire tempo e risorse. Spesso si creano delle fratture, vere e proprie contrapposizioni che prima di tutto sono culturali, legate ai notori limiti presenti nella nostra comunità (pregiudizi, individualismo, diffidenza, ignoranza, indifferenza).

E il turismo interno o domestico?

In una Regione fortemente caratterizzata da diversità (vere o presunte), dove la frammentazione e la mortalità di tanti piccoli centri è oramai quotidiana il turismo può giovare un ruolo determinante per lo sviluppo e la ripresa socio economica. Il presente piano non parla di questo tipo di turismo nella errata convinzione che esso non abbia significative ripercussioni economiche e socio culturali. Invece a mio parere esso crea le condizioni perché questo piano possa davvero decollare.

Troppo spesso diamo per scontato che i sardi conoscano la Sardegna e le sue risorse. Ma questo non risponde al vero. Molti sardi conoscono meglio Roma, Napoli o Parigi e sanno poco o nulla della Sardegna. Per questo sarebbe necessario che la Regione si assumesse l’onere di favorire e incentivare i viaggi, gli scambi le visite guidate fra le popolazioni della Sardegna e sviluppare una rete di turismo locale e sociale che consenta di:

-destagionalizzare i flussi, soprattutto nella bassa stagione e in quelle di spalla e quindi ampliare la stagione;

-garantire una più lunga occupazione per tutto il personale Turistico coinvolto specie nella ristorazione, pernottamento, servizi di guida e di accompagnamento, servizi di trasporto, spettacolo e animazione;

– abbattere i pregiudizi, favorire la conoscenza, il confronto e il dialogo fra popolazioni diverse e lontane;

-arginare l’abbandono di paesi e siti, nonché combattere la desertificazione umana e culturale di intere aree.

– sviluppare una perequazione economica, armonizzare i PIL e favorire la circolazione di medio circolante;

– generare consapevolezza, sana identità educando alla Sardità e al Turismo sostenibile

– diffondere e difendere il turismo nella intera regione per 365 giorno l’anno

Qualcuno farà tesoro di questi suggerimenti?

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