Rubrica: “La Sardegna dei Comuni” – Gergei

Ogni settimana raccontiamo la storia di un  comune della Sardegna per far conoscere le sue particolarità, le sue bellezze  geografiche e la sua comunità

di Antonio Tore

Gergei è un comune del Sud Sardegna, che conta poco più di mille abitanti e confina con Escolca, Serri, Isili, Mandas, Gesturi e Barumini.

Il toponimo sembra sardiano o protosardo da riportare all’appellativo garga «gola», «gola di montagna, conca fra rocce, buca, burrone», «tana della volpe e dell’anguilla». In via subordinata il toponimo potrebbe derivare dal gentilizio lat. Gergenius, al vocativo; costui sarrebbe stato un proprietario romano che aveva una villa «tenuta, fattoria» nella zona, la quale è molto adatta alla coltivazione dei cereali (da Toponimi della Sardegna Meridionale di Massimo Pittau).

Il centro abitato di Gergei è situato ai confini più settentrionali della nuova Provincia di Cagliari, agli estremi limiti del Sarcidano, tra la Trexenta e la Marmilla, ai piedi della Giara di Serri e del Monte Trempu.

Le origini del villaggio di Gergei appaiono assai remote: il territorio circostante è stato interessato da varie concentrazioni di insediamenti umani che vanno dal periodo prenuragico, a quello nuragico, dal fenicio-punico a quello romano. Le oltre trenta testimonianze archeologiche che si possono ancora rintracciare e i numerosi reperti ritrovati avvalorano quest’ipotesi.

Le prime popolazioni nuragiche intrattennero sicuramente rapporti commerciali con i Fenici che si erano insediati sulle coste della Sardegna a partire dal IX secolo a.C.
Nei primi secoli del primo millennio i romani subentrarono ai cartaginesi nello sfruttamento di quel ricco territorio utilizzato come serbatoio di risorse agricole (il granaio di Roma).
I primi agglomerati urbani del territorio pare sorgessero nei pressi del Nuraghe Santu Perdu (ai confini di Isili) e del Nuraghe Santa Marta (a sud dell’attuale centro abitato), nelle cui vicinanze sorsero le chiese, adesso distrutte, di San Pietro e Santa Lucia da una parte e di Santa Marta e di Santa Maria Maddalena dall’altro.

L’attuale centro abitato esisteva sicuramente nei primi secoli del secondo millennio, in epoca feudale.  In un’iscrizione scolpita su una pietra della facciata della Chiesa Parrocchiale si poteva, infatti, rilevare che la stessa nell’anno 1328 era già edificata.

Alla fine del Settecento il Municipio fece edificare, accanto alla vecchia chiesetta di Sant’Elia, una cappella per il culto di Sant’Efisio e di Santa Greca in ricordo e per ringraziamento delle vittorie riportate, il 28 aprile 1793, dai sardi contro i Francesi.

L’attività, quasi esclusivamente agricola e pastorale, esercitata dagli  abitanti di Gergei ne ha condizionato gli usi, i costumi e le tradizioni, che rimangono quelli tipici dei paesi dell’interno della Sardegna, con varianti che ne caratterizzano la peculiarità.

Le tradizioni giunte fino ai nostri giorni sono quasi sempre legate ai festeggiamenti dei Santi invocati, come protettori delle attività agro-pastorali, tipiche dell’economia del luogo. Il tutto a significare la profonda religiosità degli abitanti e la grande venerazione che essi anticamente avevano per i Santi protettori.
In questa prospettiva vanno visti i festeggiamenti che ancora oggi di svolgono in onore di San Sebastiano, di San Biagio, di Santa Greca, del patrono San Vito e di Santa Maria Assunta. Ognuna di queste festività si celebrava e si celebra ancora con antichi riti, secondo vecchie tradizioni che il tempo non ha cancellato.

La festività più caratteristica ed importante è quella di San Biagio, “Santu Brai”, che si celebra il 3 febbraio e che rinnova ogni anno la tradizione de “Su Sessineddu”, unica in Sardegna e, forse, in Italia ed in Europa. Anche questa festa ha carattere propiziatorio, con essa, infatti, la tradizione popolare chiede al Santo una speciale protezione, contro i malanni dell’inverno, ed in particolare contro i mali della gola.

In ogni casa intanto si prepara “su sessineddu”, una composizione di frutta e fiori tenuti insieme dalle foglie lunghe e piatte del “sessini” (pianta della famiglia delle cipacee, tipica dei luoghi caldo-umidi e palustri) cui si appendono fichi secchi, pezzetti di lardo e di salsiccia, un rosario fatto con la pasta e cotto al forno con il pane, grappoli di profumatissimi narcisi e “su cordonittu”, un cordoncino di lana ritorta di diversi colori, che in seguito sarà portato al collo per l’intero anno, come scapolare per proteggersi dalle disgrazie e dal mal di gola.

La sorprendente somiglianza de “su sessineddu” con il grappolo di giunchi e di melagrane tenuto in mano da un giovinetto raffigurato nella parete di una millenaria tomba ritrovata a Tebe, nell’alto Egitto, potrebbe far pensare ad un rito propiziatorio che viene da lontane regioni del Medio Oriente e che ha origini che si perdono nel tempo.

Mentre San Sebastiano è la festa degli agricoltori, Santa Greca, che si celebra il primo maggio nella omonima chiesetta, è la festa dei pastori che la organizzano ogni anno con grande impegno e partecipazione. Con l’arrivo delle prime tiepide giornate di maggio, invece, la tradizione vuole che si celebri la festa campestre di San Salvatore.

A metà giugno si celebra la festa del Patrono del paese: San Vito Martire. È quasi un rito di ringraziamento al Santo Patrono, spesso invocato durante l’anno dagli agricoltori, quando la siccità inaridisce i campi, quando il maltempo danneggia il raccolto, quando il vento caldo del deserto brucia prematuramente le messi ancora verdi.

La festa più importante, comunque, è sempre stata quella di Santa Maria Assunta, che si celebra a metà agosto e dura per alcuni giorni. Da quando l’emigrazione ha allontanato da Gergei centinaia di abitanti, questa festa che si celebra proprio a ferragosto, è diventata anche la festa degli emigrati perché in questa occasione quasi tutti rientrano in paese per trascorrere con i parenti alcuni giorni di vacanza.

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