Rubrica: “La Sardegna dei Comuni” – Portoscuso

Ogni settimana raccontiamo la storia di un paese della Sardegna per far conoscere le sue particolarità, la sua storia, le sue bellezze e la sua comunità

di Antonio Tore

Portoscuso (Portescùsi in sardo) è un comune di oltre 5.000 abitanti della provincia del Sud Sardegna e confina con Gonnesa, Carbonia e San Giovanni Suergiu.

Il nome attuale viene dal catalano Port Escus: escos o escus è il participio passato arcaico di escondir ossia “nascondere”. Portoscuso, quindi, significa letteralmente “porto nascosto”.

La presenza dell’uomo nel territorio di Portoscuso risale forse al neolitico con i ripari sotto roccia in località Crobettana. All’età del rame appartengono invece le grotte sepolcrali, scoperte nella medesima località e i circoli megalitici in località Piccinu Mortu e Su Medadeddu.

Dell’età del bronzo si conoscono i siti, di cultura di Bonnnaro, di Su Stangioni e Punta Niedda e alcuni nuraghi a corridoio e monotorre, tra cui Atzori e Bacu Ollasta e villaggi di capanne mentre poco oltre il confine comunale con Gonnesa si trova l’importante complesso nuragico di Seruci. La zona fu poi frequentata dai fenici, seguiti dai punici e dai romani del cui passaggio rimangono alcune testimonianze, in particolare per quanto riguarda l’aspetto funebre, con le necropoli in zona San Giorgio e Piccinu Mortu.

In epoca medievale il territorio fece parte del giudicato di Cagliari, inserito nella curatoria di Sulcis. Dopo la scomparsa di quest’ultimo, nel 1258 divenne parte dei domini dei della Gherardesca, conti di Donoratico. Esisteva all’epoca un abitato, poi scomparso, denominato Canyelles (toponimo che fa riferimento alla presenza di canneti), di cui rimangono i ruderi di una chiesa intitolata a San Giorgio.

Nell’ottobre del 1323 nelle acque di Canyelles (Portovesme) si svolse un evento bellico di un certo rilievo tra gli aragonesi, che stavano assediando Villa di Chiesa, e la flotta pisana, capitanata dal viceammiraglio Francesco Zaccio, composta da 33 galee.

L’odierno abitato di Portoscuso nasce nel XVI secolo, in periodo spagnolo, come insediamento di tonnarotti e pescatori sardi, ma anche siciliani e ponzesi, e corallai marsigliesi e maiorchini.

Portoscuso era inoltre un importante scalo commerciale per lo sbarco di merci destinate a Iglesias. Sul finire del secolo venne edificata la torre costiera, oggi nota come Torre Spagnola, posta sotto il comando di un alcade; la torre, data l’esiguità della guarnigione formata da soli due soldati, aveva principalmente una funzione di avvistamento piuttosto che di difesa.

A seguito della costruzione di alcune tonnare nella zona, il piccolo borgo originario, composto da baracche abitate durante le stagioni di pesca, iniziò a evolvere in paese. Nel XVII secolo il paese venne ripetutamente assalito dai pirati barbareschi; in una di queste incursioni la torre fu semidistrutta e alcuni dei suoi abitanti, che avevano trovato rifugio presso la zona dove oggi sorge il campo sportivo comunale, furono ivi trucidati o schiavizzati. Tale località oggi è nota col nome di “Su Campu Dolorosu” cioè “il campo del dolore”. A ricordo di tale storico evento sono poste sul luogo, da anni, una croce e una lapide in memoria di quegli sventurati.

A Portoscuso si sviluppò un importante scalo commerciale, protetto dalla citata torre cinquecentesca, che si erge su un’altura tra cala della Ghinghetta e Portopaleddu (o Porto Paglietto), due splendide attrazioni costiere con mare limpido e sabbia sottile.

Accanto alla torre sorse, a metà del XVII secolo, la tonnara di su Pranu. Tutt’oggi l’antica struttura è attiva fra maggio e giugno per le mattanze: il paese, insieme a Carloforte, è famoso per la pesca del tonno. Nel corso dei secoli furono costruite attorno a su Pranu, case, magazzini per la lavorazione e la chiesa di santa Maria d’Itria (1655), patrona dei tonnarotti, festeggiata 50 giorni dopo Pasqua, con eventi sportivi, musicali e folk.

Nel 1738, ormai in epoca sabauda, nella tonnara di Su Pranu (il “pianoro”), furono ospitate le numerose famiglie di profughi liguri provenienti da Tabarka, appena giunte in terra sarda in attesa che venisse completata la nuova cittadina di Carloforte, sull’isola di San Pietro, dove si sarebbero potute trasferire.

Nel 1853 divenne comune autonomo, anche se nel 1863, fu proposto che il comune fosse annesso a quello di Gonnesa. Nel 1940, durante il fascismo, venne accorpato a Carbonia, per poi riconquistare l’autonomia nel 1945.

Dopo la seconda guerra mondiale, nella seconda metà del XX secolo, Portoscuso, circondato da giacimenti minerari e vigneti di carignano, divenne importante centro industriale con la realizzazione del polo chimico di Portovesme.

Il suo porto sta di fronte all’incantevole isola di san Pietro e collega la Sardegna a Carloforte, una delle maggiori località turistiche isolane.

A Portoscuso non poteva mancare la sagra del tonno, ma si organizza anche la sagra del granchio, a giugno, e all’Arrusteddara, con grigliate di pesci freschissimi a metà agosto.

In paese merita senz’altro una visita la villa su Marchesu, del nobile Pes di Villamarina, barone dell’isola Piana, altra ‘perla’ dell’arcipelago sulcitano.

Il suo territorio costiero, oltre che da tratti di sabbia morbida, tra cui da non perdere anche Is Canelles, è caratterizzato da scenografiche falesie a picco sul mare, in particolare quelle di Costa Crobettana.

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