Villa Vallaca di Porto Botte a Maramura di Capoterra

di Roberta Manca

Percorrendo la s.s 195 da Cagliari direzione Capoterra, poco prima di arrivare i alla rotatoria del km 10, 5 è possibile notare un grande fabbricato che merita di essere conosciuto.

La struttura si sviluppa su di un livello ed è caratterizzata da un grande cortile centrale il cui ingresso principale è sormontato da un arco a tutto sesto. Lungo tutto il perimetro dei muri perimetrali, realizzati con differenti tecniche e utilizzo di vari materiali, insistono vari ambienti, una cisterna, spazi per ricovero di animali e attrezzi nonché una piccola cappella con accesso esterno. Anche per questa caratteristica l’immobile viene chiamato “Corte di Maramura o Corte Maddalena”.

L’edificio attuale è ubicato in prossimità degli immobili facenti parte del compendio della linea ferroviaria a scartamento ridotto che dalla Miniera di San Leone portava il minerale su dei vagoncini a  Porto Botte dove,  attraverso un pontile lungo 200 metri, veniva caricato sulle chiatte che portavano il materiale su dei natanti più capienti che erano ormeggiati al largo, per via del fondale particolarmente basso in questo tratto di costa.

Dalle ricerche effettuate in questi anni, risulta che a Maramura (il cui nome sarebbe legato alla presenza di un ponte il cui nome era “Matta sa Mura, Pianta delle More” sorgevano degli edifici assai antichi, così come dai frammenti di muro in Opus cementicium (calcestruzzo) ottenuto con un conglomerato di sassi e malta, ottenuta dall’impasto di  sabbia o pozzolana, che formava un conglomerato poco costoso quanto solido. Del resto il recupero e il riuso di questi blocchi è stata una tecnica edilizia assai diffusa nei secoli. Basti pensare a quanti edifici civili e di culto sono stati realizzati in questo modo. Una curiosità…molti muretti a secco che delimitano gli appezzamenti di terreno presenti un po’ in tutta la Sardegna sono stati realizzati spesso con elementi lapidei provenienti da strutture preistoriche e storiche ben più antiche.

A conferma di ciò si possono anche citare alcuni reperti rinvenuti sul posto come spezzoni di colonna di calcare, fregi e elementi decorativi, nonché frammenti di materiale ceramico di differenti epoche.

All’interno di questo edificio vi è anche una cappella che, fin dai tempi antichi ha ospitato i fedeli in occasione della processione di Sant’Efisio che ogni anno si svolge da Cagliari in direzione Nora (Pula), dove si racconta che il Santo venne decapitato e che dopo tre giorni rientra nel capoluogo regionale. Lungo il percorso da sempre si effettuano delle soste, dove il cocchio del santo sostava per dare modo ai fedeli che seguivano a piedi la processione di rifocillarsi e far abbeverare gli animali (buoi e cavalli). Dopo la sosta di Giorgino vi erano diverse soste nel territorio di Capoterra. Maramura/La Maddalena/Su loi questi eventi hanno sempre richiamato l’attenzione della locale popolazione che abbelliva gli spazi decorando gli ambienti con drappi, bandierine e cospargendo il luogo di percorrenza alla sosta programmata del corteo con dei petali di fiori e specie arboree profumate. Questa pratica veniva definita Sa Ramadura che ancora oggi è in uso.

Forse in questi luoghi sorgeva anche la Chiesa romanica di Santa Maria di Caput Terrae. Infatti in alcune cartine di questo periodo la piccola chiesa era indicata. Sicuramente edificata prima del 1.200 d.C. forse anche in epoca paleocristiana. Sta di fatto che il nome della località viene espressamente citato alla fine del 1700 in relazione alla regia concessione di un’area per la produzione di sale dove Giorgio o Giorgino Vallaca intendeva realizzare dei magazzini per la conservazione e una cappella.

Negli anni l’immobile subì differenti utilizzi anche perché fra la seconda metà dell’700 fino ai primi decenni del ‘900 attraccavano in questa località diverse navi, prima per il trasporto del sale e successivamente per i minerali di ferro e vennero realizzate importanti modifiche strutturali, fino a divenire un ristorante e night club che si chiamava il Veliero (nome dato pare dal ritrovamento di un antico veliero in prossimità del locale tratto di costa). Questo locale fu operativo fino agli anni ’80. Poi il lento e inesorabile degrado e infine l’agognato recupero curato dagli eredi Scalas che, hanno acquistato l’immobile dalla famiglia Pernis e che hanno avuto il merito di strappare dal degrado l’importante struttura. Sarebbe bello se questo immobile divenisse un funzionale museo del territorio e un luogo in cui realizzare uno spazio culturale e identitario.

In questo importante recupero va citato anche il lavoro di studio e di sensibilizzazione svolto dalla Associazione Amici di Sardegna, curata dal Prof. Roberto Copparoni che ha da subito segnalato l’importanza di questo sito alle autorità preposte e quanto realizzato dai suoi allievi, fra cui Cinzia Arrais, Gabriele Corda, Gianmarco Farci. In particolare proprio l’Arrais ha curato degli approfonditi studi sul sito che hanno contribuito non poco alla migliore conoscenza e valorizzazione del sito.

Nella foto: particolare di elemento decorativo di probabile fattura medioevale inserito nella Cappella della villa padronale.

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